Perchè un vetro blu cobalto?
Perchè un vetro blu cobalto?
Non avrei mai pensato di progettare una bottiglia. E non sapevo nulla di come si fa una bottiglia in vetro! Ma quando Tuscus ha compiuto 18 anni ho pensato che dovesse dimostrare di essere diventato maggiorenne e darsi un nuovo vestito, quello che si mette il giorno della festa. Così, quasi sopra pensiero, la mente rincorreva forme, le immaginava come ad una sfilata di moda, o nella vetrina di un gioielliere.
Sogni che mi portavano a fare disegni sul foglio bianco per cercare quella forma speciale e matite che la riempivano di colori. Troppo alta, troppo tonda, troppo banale, troppo…troppo… fino a che la mano, liberatasi da ogni ricordo, è andata sinuosa sul foglio.
Ma il percorso non era ancora finito. Mancava il colore. Progettare significa pescare nella memoria, rimescolare le carte, affidarsi alle emozioni.
Ero rimasta incantata guardando dentro l’obiettivo della mia Canon: quel blu che faceva da cornice a Uluṟu, l’imponente massiccio roccioso dell'outback australiano chiamato Ayers Rock. Mi ricordava il colore di certe porcellane della nostra collezione di famiglia che mia madre chiamava blu porcellana, quel blu scuro ma brillante che qualcuno ha chiamato carta da zucchero o il cosiddetto blu di Vienna che fa capolino qua e là nei giardini Majorelle della casa di Yves Saint Laurent e Bergé a Marrakech, in Marocco.
O il blu del mare di Ventotene quando il sole lo penetra dritto e ne rimanda i bagliori.
O gli occhi di nonna Emma nei quali mi perdevo: sembrava che un pennello intinto di colori diversi avesse tracciato in quegli occhi un caleidoscopio con al centro quel misterioso magnifico blu.
Avevo trovato il mio Oli’n Blu!
Eppure c’era ancora qualcosa che mancava ma non sapevo cosa. Poi un giorno sfogliando un libro sulla Tuscia e sugli Etruschi rimasi colpita da un particolare: i musici-danzatori dipinti sulle pareti nella tomba dei Leopardi nella Necropoli di Tarquinia avevano una cavigliera…Avevo trovato quel qualcosa che l’avrebbe resa speciale! Una cavigliera luccicante, sporgente quel tanto da raccogliere la luce.
Quella luce che ogni settimana, durante il panel-test, trovo nei bicchierini dove l’olio brilla, quel blu per il quale il COI (Consiglio Olivicolo Internazionale) aveva sentito la necessità di dettare una norma (COI/T.20/Doc.n.5 del 18 giugno 1987) che definisce “le caratteristiche del bicchiere da usare per l’analisi organolettica degli oli”.
Quel pigmento blu cobalto chimicamente stabile, inalterabile e rispondente ai requisiti di protezione ai raggi UV che sapienti mani hanno dosato per fare la mia bottiglia che va al forno di ricottura per garantire una maggiore resistenza. E poi viene sottoposta a verifica della dimensione, forma, spessore, integrità, resistenza non solo per le esigenze estetiche e funzionali, ma soprattutto affinché mantenga inalterata nel tempo la qualità e le caratteristiche dell’olio che dovrà contenere.
La blendmaster Arch. Fabrizia Cusani