Descrizione
Vicus Tuscus è la strada dell’Olio di Roma
Vicus Tuscus, una delle più antiche strade dell’antica Roma, portava dalle città degli Etruschi, chiamati anche Tusci, i prodotti della terra, olio, nocciole, castagne, che i contadini vendevano su banchetti o nelle ceste lungo il vicus.
Il tracciato della strada, che coincide con l’attuale Via San Teodoro, in prossimità del Campidoglio, collegava il Foro Romano con il Foro Boario fino alla Porta Flumentana da dove partiva la strada che portava alle città etrusche di Cerveteri e Tarquinia. Il primo tratto del vicus, in parte lastricato da basoli, si può percorrere oggi nell’area archeologica del Foro Romano.
Oggi la Tuscia è attraversata da migliaia di strade che collegano fra di loro città e borghi ricche di botteghe e di prodotti “fatti a mano” come l’olio extravergine del frantoio artigiano Tuscus.

Caratteristiche Principali
Valore energetico 899 kcal – 3762 kJ; Grassi 99,9 gr di cui acidi grassi saturi 14,46 gr; Acidi grassi monoinsaturi 72,95 gr; Acidi grassi polinsaturi 7,52 gr; Carboidrati 0 gr; Proteine 0 gr; Sale 0 gr.
Mastro Oleario:
Giampaolo Sodano
Blendmaster:
Fabrizia Cusani
Coda alla vaccinara

Nella Roma di un paio di secoli fa i nobili erano proprietari di vaste estensioni di terreno e di castelli. Intorno a loro viveva un popolo di artigiani, di piccoli commercianti, tutti accomunati da una vita grama. La loro alimentazione era fatta di pane, di verdure, di uova… e di buon vino dei Castelli romani. Di carne nemmeno a parlarne.
Nacque un’idea quanto meno originale: i nobili mangiavano carne, ma facevano dono al popolo degli scarti della macellazione, come la testa, la coda, le interiora, il cuore, il fegato, fino al 1870, quando con l’arrivo dei piemontesi cambiò tutto e gli scarti di macellazione furono posti in commercio.
Il problema era trovare il modo più appropriato per cucinare ciò che non aveva i pregi necessari per comparire nelle mense dei nobili.
Nacquero così molti piatti tipici della cucina romana, dalla paiata (intestini degli animali macellati quando si cibavano ancora solo del latte materno), alla coratella (interiora dell’abbacchio), ai fegatelli di maiale (pezzi di fegato di maiale avvolti nella rete peritoneale con una foglia di alloro). Su tutte queste invenzioni alimentari, primeggiava e primeggia ancora la coda alla vaccinara, così detta perché la ricetta risale a coloro che curavano l’allevamento degli animali, detti appunto “vaccinari”.
La coda è priva di carne, fatta in gran parte di cartilagine, dura e gelatinosa: trasformarla in qualcosa di cui cibarsi volentieri sembra impresa impossibile
Ingredienti:
- 1 kg di coda di vitellone
- 5 gambi di sedano
- 1 cipolla
- Carota
- Olio extravergine di oliva
- Sale e pepe
- Peperoncino in pezzi
- 1 bicchiere di vino bianco
- 200 gr. Di polpa di pomodoro
- 1 dado di brodo
Preparate la coda tagliata dal macellaio in piccoli pezzi, facendola bollire per un’ora a fuoco lento.
In un tegame di coccio fate un soffritto di sedano in abbondanza con cipolle e carote, aggiungendo un po’ di vino.
Ponete nel tegame i pezzi di coda e fate cuocere per mezz’ora circa, regolando il sale e il pepe, mettendo qualche pezzetto di peperoncino e ancora un po’di vino. Appena sarà evaporato aggiungete la polpa di pomodoro e un dado e fate proseguire la cottura a fuoco basso finchè la coda risulterà ben tenera.
Tenete presente che a questo scopo la coda deve cuocere almeno 6 ore a fuoco lento, ed è pronta quando l’abbondante sedano si è quasi dissolto nel sugo che ha assunto un colore scuro. Finita la cottura, i più raffinati aggiungevano fuori dal fuoco un cucchiaino di cacao amaro.
La coda alla vaccinara è un cibo che può piacere o meno: a Roma si trova ancora in alcuni ristoranti, rimasti a testimoniare l’antica cucina romana.
Il momento topico è prendere la decisione sulla giusta consistenza. Ci vogliono occhio ed esperienza, perché il tutto “indurisce” in un attimo. Prima di rovesciarlo in una coppa trasparente aggiungere le scorzette di arancio caramellate di Pansa, l’antica pasticceria che sta sulla meravigliosa piazza del Duomo di Amalfi, tagliate a pezzetti. Girare con energia. La coppa fuma fino a che non si raffredda. Secondo la stagione, la si può decorare con fragole, fette di arancio, mandorle, frittelle di mele, insomma con quello che si ha sottomano. Il tocco finale è l’aggiunta di un filo di olio extravergine.